Il tema iconografico della Crocifissione affonda le radici nella cultura alto medievale
e le prime rappresentazioni della croce furono accettate con grande difficoltà dai cristiani poiché, come scritto da San Paolo, essa era “scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani”
(I Corinzi, 1-23); pertanto preferivano evitare la rappresentazione dello strumento di tortura o del vero supplizio patito da Gesù, concentrando l’attenzione sulla gloria della croce
quale strumento di redenzione.
Il culto a essa tributato si diffuse specialmente dopo la “pace costantiniana” (313),
che accordò la libertà di culto anche ai cristiani,
e in seguito al ritrovamento della vera croce a opera di Sant’Elena (madre di Costantino).
Con la riforma del messale romano (papa Pio V, 1570)
si rese obbligatoria l’immagine del crocifisso sulla croce dell’altare.
La crocifissione rappresenta il martirio di Cristo e l’iconografia prevede
che il figlio di Dio sia rappresentato nella morte corporale e nella vita eterna della sua anima. Per questa ragione, nei secoli l’iconografia della crocifissione ha subito consistenti trasformazioni stilistiche e formali:
dall’immagine del Cristo trionfante sulla morte, iconografia diffusa in tutta Europa fino al XII secolo, si è giunti tra XIII e XIV secolo all’immagine del Cristo dolente, ritratto nella dignità umana e sacra della sofferenza terrena.
Il valore salvifico e catartico dell’immagine del Cristo dolente va rintracciato
nella mutata sensibilità espressa dalla società medievale nei confronti dei soggetti sacri,
dal XIII secolo sempre più assimilati alla condizione umana del sentire e del patire.
La ieraticità imperturbata di matrice alto medievale e medievale,
nel basso Medioevo e nel primo Rinascimento, cede il passo alla rappresentazione
più realistica, comunque simbolica ed emblematica, dell’incarnazione del divino.
È in questa nuova concezione che le immagini sacre da cultuali diventano
sempre più narrativo devozionali.
L’immagine del Cristo dolente, ampiamente diffusa nella cultura rinascimentale,
non perde in questa età il suo valore sacrale e quella ieraticità che la rende rappresentazione
trasfigurata del deicidio, muovendo dalla cruda realtà dell’evento per giungere
al sublime e lirico incontro con la rinascita. |