6. Crocifissione

- Via Roma, Cascina Caravalle -



Sulla facciata prospicente via Roma dell’antica Cascina Caravalle
è raffigurato l’episodio evangelico della Crocifissione.
Il dipinto ha subito un restauro alla fine del secolo scorso
che ne ha stravolto l’armonia cromatica e cambiato alcuni particolari:
- il costato e il panneggio del perizoma di Gesù;
- la postura e l’abbigliamento della Maddalena;
- lo sfondo, probabilmente allusivo all’ambiente di Ranco.

La scena è mutila della parte destra dove, secondo l’iconografia tradizionale,
potevano essere raffigurati Maria di Cleofe oppure San Giovanni Battista.



Del dipinto originale, probabilmente ad affresco, rimane una foto in bianco e nero che, malgrado i limiti imposti dall’assenza del colore,
permette di avere un’idea complessiva della notevole qualità artistica del dipinto.


Bernardino Luini (?),
Cristo crocifisso tra le Pie Donne.

Affresco, inizio XVI secolo.

(in Caramella (a cura di), 2004, p. 107)


Il dipinto , delimitato da una cornice posticcia geometrica,
doveva essere di forma quadrata e, ricostruendo virtualmente la dimensione originaria,
nella parte destra poteva essere raffigurato un quarto personaggio.



La croce è posta al centro dello spazio della composizione,
stagliata sullo sfondo del cielo chiaro in cui incombono nubi plumbee.
La testa di Cristo, ripiegata verso destra, è circondata dal nimbo.
La Madonna, alla destra di Cristo, ha le mani giunte,
indossa un abito -presumibilmente rosso- con sovrapposta la gorgiera
(
collare di tela finissima in uso nel XVII secolo).
È avvolta in un ampio manto bianco che le copre anche il capo circondato dal nimbo.
Abito e manto sono mirabilmente panneggiati con lunghe pieghe sottili.
Ai piedi della Croce, di profilo, è raffigurata la Maddalena inginocchiata
e con il capo rivolto verso Gesù.
La data, 1758, apposta nell’angolo sinistro della cornice dipinta,
ossia in una posizione non consona, induce a ipotizzare che sia relativa a un intervento
di restauro e non alla data di realizzazione del dipinto originario assegnabile al XVII secolo.


Giovanni Andrea De Magistris, Particolare della decorazione della cappella absidale.
Affresco, 1516.
Scaria (Val d’Intelvi),
Santi Nazaro e Celso.

(in Gregori, 1994, p. 146 -
Tav. 66)


Il tema iconografico della Crocifissione affonda le radici nella cultura alto medievale
e le prime rappresentazioni della croce furono accettate con grande difficoltà dai cristiani poiché, come scritto da San Paolo, essa era “scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani”
(
I Corinzi, 1-23); pertanto preferivano evitare la rappresentazione dello strumento di tortura o del vero supplizio patito da Gesù, concentrando l’attenzione sulla gloria della croce
quale strumento di redenzione.
Il culto a essa tributato si diffuse specialmente dopo la “pace costantiniana” (
313),
che accordò la libertà di culto anche ai cristiani,
e in seguito al ritrovamento della vera croce a opera di Sant’Elena (
madre di Costantino).
Con la riforma del messale romano (
papa Pio V, 1570)
si rese obbligatoria l’immagine del crocifisso sulla croce dell’altare.

La crocifissione rappresenta il martirio di Cristo e l’iconografia prevede
che il figlio di Dio sia rappresentato nella morte corporale e nella vita eterna della sua anima. Per questa ragione, nei secoli l’iconografia della crocifissione ha subito consistenti trasformazioni stilistiche e formali: dall’immagine del Cristo trionfante sulla morte, iconografia diffusa in tutta Europa fino al XII secolo, si è giunti tra XIII e XIV secolo all’immagine del Cristo dolente, ritratto nella dignità umana e sacra della sofferenza terrena.
Il valore salvifico e catartico dell’immagine del Cristo dolente va rintracciato
nella mutata sensibilità espressa dalla società medievale nei confronti dei soggetti sacri,
dal XIII secolo sempre più assimilati alla condizione umana del sentire e del patire.
La ieraticità imperturbata di matrice alto medievale e medievale,
nel basso Medioevo e nel primo Rinascimento, cede il passo alla rappresentazione
più realistica, comunque simbolica ed emblematica, dell’incarnazione del divino.
È in questa nuova concezione che le immagini sacre da cultuali diventano
sempre più narrativo devozionali.
L’immagine del Cristo dolente, ampiamente diffusa nella cultura rinascimentale,
non perde in questa età il suo valore sacrale e quella ieraticità che la rende rappresentazione
trasfigurata del deicidio, muovendo dalla cruda realtà dell’evento per giungere
al sublime e lirico incontro con la rinascita.


Orazione popolare:

Santa Calara *

Santa Calara
imprestèm la vostra scara
par na’ in paradis
a truvà i me (nost) amis.
I me (nost) amis in mort,
ghe nisün da fagh al corp
**.
I angel a cantà,
al Signur a predicà,
la Madona in ginugiun,
o che bela oraziun.
Canta, canta rosa e fiur
ghe nasü noster Signur,
l’è nasü a Betlem
senza fasa né patel
da fasà chel Gesù bel.
Gesù bel, Gesù Maria
San Giusep in cumpagnia.
Bela prea, bel’altar,
bela mesa farem cantà,
farem cantà dal nost Signur
che ‘l pend in su la crus.
E la crus l’è tanta bela
la lusis in ciel e in tera.
Ciel e tera vegnerà,
cinque piaghe mostrerà.
Chi la sà e chi la dis
quistaren al paradis,
e chi la sà e non la dis
perdaran al paradis.

* Nell’orazione viene invocata
Santa Calara
, con probabile riferimento a santa Chiara d’Assisi
(fondatrice delle suore Clarisse,
solitamente rappresentata
con in mano la croce
),
forse più per motivi di rima con scara
(la scala che spesso compare
nelle scene relative alla Deposizione,
servita per togliere Cristo dalla croce
)
che non di devozione.


** al fagh al corp= vestire il morto.

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Giaculatoria

Croce santa,
Croce degna,
che mi salva,
che mi insegna,
che mi mette sulla via,
di salvar l’anima mia.

 


La leggenda della croce

Dopo la morte di Abele, Adamo ed Eva ebbero un altro figlio, Sette,
il quale fu mandato da Adamo nel Paradiso
per chiedere all’angelo cherubino l’olio della misericordia
che Dio gli aveva promesso quando lo scacciò dal Paradiso.
Il cherubino confidò a Sette che Adamo sarebbe morto presto
e che avrebbe dovuto mettergli sotto la lingua i tre granelli che gli consegnò.
Così accadde e dai tre granelli nacquero tre piante:
un cedro simbolo del Padre,
un ulivo per il Figlio
e un cipresso per lo Spirito Santo.
Le tre piante videro la vicenda di Mosè, Davide e Salomone
e divennero così grosse da fondersi in unico tronco.
Anche la regina di Saba lo adorò.
Era un tronco miracoloso, che guariva i malati.
Fu messo prima nel Tempio,
poi fu usato come ponticello sopra la piscina di Siloe.
Quando Gesù fu condannato a morte,
i giudei decisero di utilizzare proprio quel tronco
per fare la croce sulla quale fu crocifisso.